Grillini e grillisti ante litteram

settembre 14, 2012

Seguo da un paio di settimane “Piazzapulita” su La7, condotto dal bravo Corrado Formigli. Lo trovo un programma fatto veramente bene e condotto da un bravo giornalista che sa come si fa il mestiere. Ieri, ne ha dato l’ennesima dimostrazione spiegando le ragioni per le quali ha trasmesso diversi mesi dopo averlo acquisito il “fuori onda” in cui il consigliere regionale del movimento Cinquestelle Giovanni Favia denunciava la mancanza di democrazia interna al soggetto politico fondato da Beppe Grillo e diretto da Casaleggio. Non entro nel merito della questione, se non riconoscendo che ci sono molti “grillini” – quasi tutti, per la verità – che sono persone per bene e che vogliono dire la loro nelle istituzioni uscendo dalle rigidità e dagli schemi di certa politica. Solo che il rifiuto tout court delle forme e dei limiti in cui si esercita la democrazia non può che preludere a situazioni di anarchia che, a loro volta, generano i prodromi per svolte autoritarie e dittatoriali. Non voglio esagerare e non la faccio lunga. Dico solo che quello che Grillo (coi suoi “meet up” prima e con il movimento Cinquestelle dopo) è stato bravo a intercettare è stato solo un dissenso piuttosto diffuso nei confronti dei partiti e del modo in cui vengono gestite le istituzioni, ma dall’esprimere dissenso alla fase propositiva in cui bisogna prepararsi a governare la strada è lunga. Se ne sono accorti in Emilia Romagna, terra in cui probabilmente il Pci-Pds-Ds-Pd ha tradito parecchie aspettative tanto che parecchi suoi elettori storici hanno preferito “buttarsi” con Grillo. Se n’è accorto il consigliere regionale Favia ma anche il sindaco di Parma Pizzarotti che ci ha messo una vita a comporre una giunta, anche se gli va dato il merito di aver ridotto parecchio i costi dell’amministrazione. Ma sarebbe bastato un atteggiamento più oculato della politica per non generare fenomeni di tipo “grillino”; sarebbe stato sufficiente dare certe risposte ai cittadini invece che lasciarli davanti a imbarazzanti silenzi da parte delle istituzioni.
Quando scrivo questo, penso a un episodio dell’estate 2007. Fui chiamato dal carissimo amico Paolo Fragomeni a moderare una delle tre serate della Festa dell’Unità, l’ultima prima del congresso fondativo del Pd. L’argomento del dibattito, che si tenne nella villetta comunale di Siderno, fu dei più scottanti: la sanità pubblica, in un paese che proprio in quei giorni dovette fare i conti con la spoliazione di reparti e risorse del suo ospedale che solo ora, dopo cinque anni, si accinge a diventare “Casa della salute”. Sul palco, accanto a me, il sindaco, un senatore di area, un assessore regionale diessino. A un certo punto, prese la parola un cittadino che, vista la rabbia che aveva in corpo, iniziò presto a usare toni alterati tanto da indurmi a invitarlo all’uso di un linguaggio più consono all’occasione pubblica e ad esprimere i suoi concetti in maniera sintetica. “Lascialo parlare” urlò qualcuno dal pubblico. La tensione si tagliava col coltello, fin quando il cittadino, fresco reduce da una terapia particolarmente delicata, come segno di disprezzo nei confronti della politica che aveva permesso che il “suo” ospedale venisse chiuso, propose di bruciare le schede elettorali. L’applauso che seguì la fine del suo intervento fu scrosciante e prolungato. Mi toccò fare l’impopolare quando dissi, subito dopo, che la rinuncia all’esercizio del diritto di voto sarebbe stata inopportuna e che segni di disprezzo verso le istituzioni democratiche avrebbero prestato il fianco a svolte di tipo reazionario se non dittatoriale. Applaudirono in pochi, ma era quello che mi sentivo di dire. Poi, però, a rovinare tutto, arrivò il silenzio dei politici presenti. Imbarazzato ma pesantissimo. Nessuno di loro trovò il coraggio, le parole e soprattutto gli argomenti per rispondere al cittadino arrabbiato che, ora, definiremmo come il tipico grillino.
E allora sì, politici senza risposte e senza argomenti, che avete riciclato nei vostri partiti chi, con politiche clientelari ha contribuito a rendere ingestibili gli ospedali, le scuole e altri presidi tangibili della presenza dello Stato. E allora sì, se esistono i grillini la colpa è soprattutto vostra. E se come prima reazione ci si può sfogare dando loro dei “fascisti”, poi bisogna dimostrare che anche nei partiti tradizionali c’è gente che ha a cuore il bene comune e che in fondo, i grillini non servono o sono solo un fenomeno populista e folkloristico, comunque passeggero. In fondo, Grillo e Casaleggio sono emersi soprattutto per colpa vostra.


Locri, consiglio comunale senza esclusione di colpi

Maggio 2, 2012

dal sito http://www.reggiocalabriaweb.it

LOCRI – Dall’aula consiliare alle aule della Procura della Repubblica? Si vedrà. Quel che è certo è che i toni della seduta consiliare odierna sono stati a tratti molto duri e lo spettro del ricorso alla giustizia è stato più volte agitato dal presidente del civico consesso Antonio Cavo, per via di alcune considerazioni espresse dai banchi della minoranza; anzi, lo stesso Cavo ha detto a chiare lettere che i verbali della seduta verranno trasmessi alla Procura della Repubblica. L’assise cittadina è stata convocata per discutere di quattro punti all’ordine del giorno, e se sul primo – e solo sul primo – si è registrata l’approvazione all’unanimità (riguardava la modifica del regolamento di compensazione e rateizzazione dei tributi comunali per estendere al concessionario anche la gestione dei ruoli ordinari) sul resto è stata battaglia senza esclusione di colpi. Del resto, c’era da aspettarselo. Erano tre mesi, infatti, che non veniva convocato il consiglio comunale e il trimestre precedente è stato costellato di dichiarazioni al vetriolo rilasciate a mezzo stampa e nel mezzo del lavoro dell’ispettore ministeriale Cervellini, mandato dal Viminale al Comune su richiesta della maggioranza per verificare se sussistano o meno le condizioni per proseguire l’azione amministrativa pur in presenza di una situazione economico-finanziaria assai difficile e che potrebbe condurre alla malaugurata ipotesi del dissesto finanziario dell’Ente. Le prime avvisaglie della battaglia, come detto, si sono registrate già durante la discussione del secondo punto “approvazione schema di convenzione tra la Provincia di Reggio Calabria e il Comune di Locri per l’attuazione di un progetto per l’inserimento lavorativo di soggetti percettori di ammortizzatori sociali in deroga”. La minoranza ha chiesto chiarezza sul numero dei lavoratori a cui affidare gli incarichi, precisando che comunque sul Comune gravano i costi per le tutele previdenziali dei lavoratori. Ma non solo. Anche sui criteri di selezione dei lavoratori in mobilità o Cassa integrazione l’opposizione non ha fatto sconti, chiedendo di inserire nell’atto deliberativo la previsione di un bando ad evidenza pubblica. La maggioranza e l’esecutivo, però, hanno ribadito che i lavoratori verranno selezionati in base alle effettive necessità dell’ente e alle loro attitudini professionali, per periodi che vanno da un minimo di un giorno ad un massimo di sei mesi. Dopo la votazione contraria, da parte della maggioranza, sull’integrazione proposta da Calabrese, che chiedeva, appunto, un bando ad evidenza pubblica, è partito il primo affondo, col leader di “Leali alla città” che ha parlato di «convenzione che servirà per assumere amici e compari, visto che la legalità non sembra ispirare l’azione di questa maggioranza», mentre l’ex sindaco Macrì ha rincarato la dose parlando di «molteplici illegittimità, come quelle relative al fatto che il segretario comunale Tresoldi firma atti come responsabile del Contenzioso, così come il geometra Monteleone, che firma atti come “facente funzioni” di responsabile». È stato in questo momento che il presidente Cavo ha preannunciato l’invio alla Procura degli atti della seduta. Anche sull’adezione al Patto dei sindaci la dialettica è stata aspra, con l’opposizione che ha rimproverato al sindaco un deficit di chiarezza nell’esposizione del Patto che, come ha spiegato Lombardo «Viene sottoscritto dai Comuni che intendono accedere ai bandi dell’Unione Europea dopo aver raggiunto determinati obiettivi, ad esempio sulla tutela dell’ambiente». Fin qui tutto normale, o quasi. Già, perchè prima di passare alla discussione del quarto e ultimo punto, relativo alla discussione di dichiarazioni rilasciate dal primo cittadino alla stampa, riguardanti la presunta impossibilità a proseguire nella gestione ordinaria dell’ente e nell’erogazione anche dei servizi essenziali, lo stesso Lombardo ha detto che «certe frasi pronunciate dall’opposizione, in virtù delle quali io – ha detto – starei cercando di portare l’ente al dissesto, implicano una forte responsabilità morale, perchè – ha proseguito – domani qualcuno potrebbe compiere gesti sconsiderati verso chi amministra». Apriti cielo. La reazione dai banchi dell’opposizione è stata veemente. E se Macrì, Capogreco, Sainato, Passafaro e Calabrese hanno anticipato all’aula buona parte di quello che diranno all’ispettore ministeriale Cervellini nell’incontro programmato per il tardo pomeriggio, Calabrese ha attaccato a testa bassa il primo cittadino, dicendo, dopo aver compiuto un lungo elenco di presunte illegittimità compiute dagli amministratori ha respinto l’accusa di istigazioni alla violenza e ha concluso il proprio intervento dicendo che «Se ci saranno degli attentati non dipenderanno dalle dichiarazioni dei consiglieri di opposizione, ma saranno conseguenza di promesse fatte in campagna elettorale». Una bomba, insomma. Più ragionato l’intervento di Raffaele Sainato, che ha riportato la discussione sul bilancio, ricordando come soprattutto sulla consistenza dei residui va fatta chiarezza perchè il punto nodale è proprio quello, ha implementato l’elenco delle presunte illegittimità, seguito, in questo da Passafaro (che ha accettato la “sfida” dell’invio in Procura degli atti) e dello stesso Macrì, mentre Anna Capogreco si è concentrata sulla stato in cui versa contrada Moschetta. Lombardo, nel suo intervento conclusivo, ha stemperato i toni, con parecchio “mestiere” rimanendo pacato fino all’ultimo e ha risposto elencando tutta una serie di azioni intraprese dall’amministrazione. Una cosa è certa: la lotta per evitare il dissesto poggia su una drastica riduzione delle spese e sull’aumento del carico tributario. Margini per una ulteriore “spending review” comunale non ci sarebbero secondo il sindaco. Ora, non rimane che attendere la relazione dell’ispettore ministeriale, che dovrebbe arrivare a metà mese. Lombardo ha concluso auspicando per la città di Locri «Tempi migliori, indipendentemente – ha detto – dai comportamenti o dalle inefficienze di chi amministra».

GIANLUCA ALBANESE


I buoni propositi di D’Attorre

aprile 28, 2012

Un piccolo miracolo, il commissario regionale del Pd Alfredo D’Attorre l’ha già fatto. Nella miniadunata dei circoli della Locride di giovedì scorso alla libreria Mondadori della Gru, infatti, c’erano quasi tutti. Io non ero presente, ma grazie al servizio mandato in onda da Trs ho scrutato tra la folta platea e ho visto rappresentate parecchie “anime” del partito nel territorio: la maggioranza panettiana del circolo sidernese e la minoranza che fa capo a Paolo Fragomeni; il nuovo che avanza del Pd locrese e “l’eretico” Pino Mammoliti, i due Pd di Caulonia, quello di Tucci e Ammendolia, un tempo insieme e che ora, per dirla con Samuele Bersani come «Pietro Mennea e Sara Simeoni» che «Son rivali alle elezioni». Sgombriamo il campo dalle solite polemiche, tanto sono già abbastanza antipatico a parecchi democrat nostrani, ma fino ad oggi, quando si è organizzato qualcosa del Pd, la prima domanda da porsi era “quale Pd”, inteso come quale corrente di riferimento, quale caporione provinciale o regionale, quale “area”? E’ stato così anche quando è sceso Veltroni a Locri, nel mese di gennaio, quando un dirigente storico del Pci-Pds-Ds-Pd locrideo sussurrò all’orecchio del cronista il proprio disappunto per l’organizzazione di una manifestazione che secondo lui era troppo sbilanciata verso l’area veltroniana del partito. Quindi, a pensar male si fa peccato ma non si sbaglia. Ma non solo. Nell’intervista rilasciata ad Antonio Tassone, D’Attorre ha detto cose molto interessanti. In particolare, si è soffermato sulla necessità di rinnovare una classe dirigente che «più che alle beghe di partito deve pensare alle istanze dei cittadini, restituendo alla politica il suo ruolo naturale». Giusto, condivisibile. Ha preso pure le distante da Renzi, dicendo che «Non serve rottamare». E anche questo ci può stare. La mia idea, però, è che se solo approfondisse la conoscenza di certe realtà locali, avrebbe contezza del compito improbo che lo attende. Le adunate regionali di area sono storia del giorno prima, così come la penetrazione a tappeto nei circoli sidernesi di alcune figure di rilievo regionale sotto la cui ala protettrice sembra stiano trovando riparo i già adepti del ticket Bova-Adamo-Frascà, ora fuori dal Pd. Insomma, non sarà un compito facile, e i congressi in programma a giugno (Il 24 il regionale e poi a cascata gli altri) potranno e dovranno dare indicazioni utili a chi guarda a questo partito e si riconosce nelle sue idee. Insomma, il compito è arduo, ma non possiamo che augurare – cavallerescamente – il nostro “in bocca al lupo” a D’Attorre.


Berluscaos

aprile 21, 2012

«Non è la prima volta che Silvio Berlusconi cambia nome e simbolo al partito, specie quando le cose vanno male per lui; mi auguro che oltre all’operazione di maquillage ci sia una vera svolta, anche nel metodo, altrimenti l’operazione non ha molto senso». Il profumo del sugo pomodoro e basilico che cuoceva grazie alle mia sapiente arte culinaria, non mi ha impedito di ascoltare questa riflessione, compiuta non da un pericoloso estremista, massimalista come me, ma da una collega di Libero, quotidiano saldamente collocato a destra, invitata da SkyTg24 a commentare l’ultima del cavaliere. Parlava della nuova idea di Berlusconi e del suo delfino Alfano, ovvero quello di un nuovo partito-contenitore di centrodestra «aperto all’associazionismo e al web» sulla scia del Partito Popolare Europeo. Da persona che segue i fatti politici mi sono subito chiesto che ne sarà degli organi appena costituiti a livello periferico: da noi, ad esempio, il coordinamento provinciale del Pdl è stato nominato prima di Pasqua. Il metodo prevalente di scelta della classe dirigente è quello della cooptazione, ma almeno queste strutture danno l’idea di qualcuno che rappresenti il partito nei territori di competenza. Secondo le intenzioni dei berluscones calabri, inoltre, il coordinamento regionale avrebbe dovuto essere rinnovato a breve, lasciando intendere che qualcuno avrebbe preso il posto di Peppe Scopelliti, attuale coordinatore regionale del Pdl, nonché presidente della Giunta Regionale e, dulcis in fundo, intestatario di una lista che porta il suo nome – Alfano la definirebbe “lista Coca Cola”, il mio amico Oreste “Lista Champagne” – che conta oltre il 10% di consensi su scala regionale. I coordinamenti cittadini del Pdl, invece, non si sono mai insediati, fatta eccezione per quelli delle aree metropolitane e c.d. “Grande città”. Insomma, viene da pensare che un nuovo partito, con nome e simbolo diversi causerà un effetto a cascata sull’attuale Pdl e sulle sue (poche e incerte) strutture territoriali alle quali vanno aggiunte figure particolari come i cosiddetti “Club della Libertà”. Un caos. Pur non essendo un elettore del Pdl, né tantomeno un suo simpatizzante, non posso non pensare a gente come Michele, Franco, Peppe, Alfonso, Vincenzo e così via. Gente che crede in un’idea che non è la mia ma che ovviamente rispetto. Gente che forse merita una leadership nazionale più certa, credibile, autorevole. Gente che ha bisogno di punti di riferimento precisi e organi, possibilmente, eletti. Anche perché hai voglia di maquillage, perché dal ’94 in poi gli elettori ne hanno viste di tutti i colori e, ammesso che sia stato completamente metabolizzato il passaggio da Forza Italia a Pdl, il trucco può non essere più sufficiente a coprire un metodo di fare politica che potrebbe essere ormai vetusto e incapace di attirare il consenso degli elettori. Anche dei più distratti.


Non sono nonna e nipote

aprile 14, 2012

Provocazione o semplice cantonata? Non è dato saperlo, ma di sicuro la Santanchè l’ha sparata proprio grossa tracciando un parallelismo tra gli intrecci di politica, sesso e sentimenti che hanno vissuto due donne molto diverse tra loro come Nilde Jotti e Nicole Minetti. L’unica cosa in comune è l’aver avuto una relazione con due leader politici, certo. Ma in che circostanze? La Jotti nasce da una famiglia socialista, si laurea, insegna e diventa partigiana e militante politica; poi, anni dopo, sarà l’amante di Togliatti fino alla sua morte. La Minetti, invece, diventa igienista dentale ma è una ragazza del suo tempo, che sogna soldi, fama e successo da raggiungere a tutti i costi, non disdegnando botox e silicone, tanto che c’è il quantomeno fondato sospetto che sia diventata consigliera regionale – carica elettiva, per carità – solo per i rapporti particolari con qualche “grande elettore”. Sarà la magistratura a chiarire se ci sia anche la sua mano in presunti giri di prostitute d’alto bordo. Due aneddoti che le riguardano, però, dicono già abbastanza: la Jotti e Togliatti, già compagni (e non solo dal punto di vista politico) adottarono la sorella di un operaio ucciso dalla polizia durante una rivolta per chiedere pane e lavoro; la Minetti, stando alle carte dell’inchiesta che la riguarda, nelle vesti di affidataria avrebbe abbandonato Ruby Rubacuori dopo la pietosa scena dell’interrogatorio in commissariato, quando qualcuno provò a spacciarla per la nipote di Mubarak, affidandola ad una escort con la quale i rapporti, già burrascosi, sfociarono in separazione dopo la (forzata) convivenza. Quindi, volendo adottare dei criteri quanto più possibile oggettivi, ci troviamo di fronte a due sensibilità diverse.

Una cosa, però, possiamo dirla, giusto per mantenere un livello accettabile di obiettività. Può succedere che un leader politico, una volta smessi i panni del “Migliore” e tornato uomo, e quindi maschio, s’innamori di una donna giovane e bella: è nella natura umana e può capitare anche a chi ha moglie e figli e una “base” di partito molto più bigotta e conservatrice di quanto possa professarsi. Altra cosa, però – è non mi riferisco alla Jotti e alla sua storia – è l’eccesso di familismo che ha toccato anche il Pci e i suoi derivati, dal quale sono nate anche dinastie politiche basate sul cognome. Passi per chi ha avuto il consenso degli elettori, ma è meno normale se si pensa a tutti i parenti, affini e congiunti vari piazzati nelle coop, nei sindacati, nelle imprese di partito e perfino nelle redazioni dei giornali. Pare che perfino nel Pcus si adottassero criteri ispirati a una maggiore meritocrazia nella selezione della classe dirigente; il Pci, invece, ha vissuto anche episodi che l’hanno reso più simile a realtà lontane, come la Corea del Nord. Chi,come me, è di sinistra, ha il dovere morale di riconoscerlo.


Primarie del Pd. Tra incubo palermitano e centralismo democratico

marzo 30, 2012

LOCRI

«Esistono due gruppi espressione di due modi diversi d’intendere l’attività politica. La nostra stella polare è il codice etico in virtù del quale chi si candida a rivestire un incarico pubblico deve fare voto di povertà perchè in tempi come questi non è possibile concepire il rampantismo e la voglia di dare consulenze prezzolate e compensi vari a spese della collettività».
Pino Mammoliti è l’ex capogruppo del Partito Democrativo in consiglio comunale e candidato alle scorse elezioni provinciali. Il suo gruppo alle ultime elezioni primarie per la leadership del circolo cittadino, riuscì ad esprimere il segretario, Paolo D’Agostino, poi dimessosi in occasione delle scorse elezioni comunali nelle quali era candidato consigliere.
Oggi, il circolo cittadino è acefalo e il prossimo congresso che, secondo quanto annunciato dal commissario regionale D’Attorre dovrebbe tenersi a giugno, viene visto da molti come l’occasione per una rivalsa interna al Pd locrese. Risale a un mese fa circa l’ultima sortita ufficiale dei democrat locresi: un comunicato in cui “i militanti del partito” – questa la firma in calce al documento – esprimevano il proprio plauso per la nomina di D’Attorre. CO riuscì a scoprire che gli estensori di quella nota furono il capogruppo in consiglio comunale Emanuele Marando e la dirigente provinciale Barbara Panetta e che la stessa nota fu oggetto di un rapido consulto via e-mail che coinvolse, tra gli altri, il vicesindaco Dattilo e la parlamentare Maria Grazia Laganà ed escluse lo stesso Mammoliti, l’ex consigliera comunale Anna Rosa Broussard e l’ex segretario Paolo D’Agostino. Un gesto apparentemente trascurabile, quello dell’invio della nota e che invece, come conferma Pino Mammoliti, evidenzia una spaccatura, di fatto, tra due anime di un Pd che a Locri come in altri centri sta ancora cercando la propria unità.
L’avvocato locrese premette che «Fermo restando che siamo contrari ai doppi incarichi e favorevoli all’incompatibilità dei ruoli direttivi di circolo con chi riveste cariche amministrative, noi saremo della partita». Quel “noi” di Mammoliti significa che oltre a lui, i punti di riferimento sono la Broussard, D’Agostino «E tutti quei tesserati – ha spiegato Mammoliti – che noi abbiamo fatto sul territorio di Locri».
Già, i tesserati. Se non cambiano le regole, infatti, potranno votare alle primarie per eleggere il direttivo cittadino quelli che erano tesserati nel 2011. E, come aggiunge Mammoliti «L’altro gruppo potrà avere qualche chance solo se sarà ammesso il voto on line o per delega, visto che molti loro tesserati risiedono lontano da Locri». Ma non è l’unico spunto polemico. Mammoliti, infatti, ritiene anzitutto indispensabile la convocazione a breve di un’assemblea di tutti i militanti al fine di valutare la possibilità di giungere a una candidatura unitaria per il ruolo di segretario. «Ma se così non dovesse essere – ha aggiunto – potrei essere io stesso a candidarmi, anche se sono attivo pure nella partita che si gioca per il rinnovo degli organismi provinciali». Dunque, Mammoliti ribadisce l’importanza di regole chiare e condivise, e a chi gli chiede come mai sia l’unico ad evidenziare il conflitto strisciante tra due compagini diverse all’interno del Pd locrese risponde che «Ci sono molti attendisti e opportunisti pronti a collocarsi dall’una o dall’altra parte per convenienza. Noi siamo chiari e coerenti per il rinnovamento e per un modo nostro di fare politica improntato all’etica. E poi – la conclusione al vetriolo – ricordo che i traditori, in quanto tali, non tradiscono solo una volta».
Quanto basta, insomma, per immaginare fin da ora delle primarie infuocate.

SIDERNO

Se Atene (Locri) piange la mancata unità delle varie anime del Pd locale, Sparta (Siderno) non ride.
Anche qui, infatti, il conflitto tra la maggioranza che fa capo al segretario Mariateresa Fragomeni e la minoranza interna con al vertice l’ex capogruppo in consiglio comunale Paolo Fragomeni è evidente e dura praticamente dalle scorse elezioni primarie, che attribuirono il ruolo di segretario alla cugina dell’ex sindaco Mimmo Panetta con un consenso attorno al 75%.
Il conflitto ha vissuto fasi alterne, fino ad arrivare alle scorse elezioni comunali, con la sconfitta del Pd e delle civiche che supportavano la candidatura a sindaco dello stesso Panetta, e il redde rationem che sembra non conoscere mai fine.
Già, perchè anche oggi Paolo Fragomeni ribadisce un concetto già noto da tempo: «La scellerata scelta di isolare il partito e di troncare ogni forma di dialogo con Udc e Siderno Libera, ispirata da Panetta e i suoi, è alla base di una sconfitta elettorale, la terza consecutiva per Mimmo Panetta, che portò il Pd a presentarsi da solo contro tutti e a perdere nonostante il vantaggio iniziale, viste le conseguenze negative della passata esperienza del governo cittadino di centrodestra.
Ora, invece di trarre le conseguenze di quella sconfitta e fare autocritica, la maggioranza interna del circolo si chiude a riccio e, se dovesse confermare la candidatura del segretario uscente, tale mossa sarebbe da intendere come un chiaro ostacolo al necessario rinnovamento del gruppo dirigente del partito.
Sia chiaro – ha proseguito Paolo Fragomeni – il mio è un ragionamento politico e non ho nulla di personale contro il segretario». Diretta conseguenza di tutto ciò è il fatto che, come conferma lo stesso Paolo Fragomeni «Se dovesse ricandidarsi Mariateresa Fragomeni, il mio gruppo presenterà una candidatura alternativa e all’insegna della discontinuità».
g.albanese@calabriaora.it

IL CORSIVO

L’esperienza recente delle elezioni primarie per il candidato sindaco del centrosinistra a Palermo ha creato un pericoloso precedente. La contestata vittoria di Ferrandelli contro Rita Borsellino, infatti, dopo i ricorsi del candidato sconfitto, ha portato alla concomitante candidatura di Leoluca Orlando, appoggiato da Idv e sinistra radicale nonostante l’esito del voto popolare che dovrebbe essere un giudizio insindacabile secondo gli assertori della validità di queso metodo di scelta dei dirigenti. È lecito chiedersi se, come e quanto, le primarie per i prossimi congressi di circolo nella Locride riusciranno a svolgersi secondo lo spirito voluto dal padre fondatore del Pd Walter Veltroni, proprio di tutti quelli che hanno creduto e ancora credono in questo progetto politico. Le premesse non sono delle migliori, come s’intuisce dalla lettura dei pezzi pubblicati in questa pagina e che riguardano la situazione dei due centri più popolosi del comprensorio. E allora, paradossalmente, al fine di evitare l’incubo palermitano e scongiurare il rischio di scissioni interne, molti dirigenti del Pd sembrano rifarsi allo spirito del centralismo democratico, tanto in voga nel vecchio Pci, in virtù del quale le discussioni interne potevano essere anche molto aspre, ma una volta prese dovevano essere accettate a tutti i livelli e anche dai dissenzienti della prima ora. Chiamatelo pure “paradosso democratico” purché non si trasformi mai in dittatura della maggioranza (interna) a spese di chi è minoranza dopo il responso delle urne, altrimenti tanto valeva mantenere i vecchi simboli, oltre ai vecchi metodi che non prevedevano le primarie. O no?
gi. alb.

Gli articoli sono stati pubblicati a pagina 16 di Calabria Ora dello scorso 26 marzo


Fessbook, ovvero il paradosso del social network

marzo 21, 2012

Non si è ancora spenta l’eco delle polemiche dopo l’articolo di Michele Serra su Twitter, che scopro che ormai alcuni politici cittadini sono talmente schiavi di facebook che pensano di poter “taggare” tutto e tutti. Perfino i giornali, ovvero chi le notizie le dà per mestiere e non per cazzeggio. Già, perchè non solo pubblicano le loro note prima sul social network prima di inviarle ai giornali, ma ora diramano dei comunicati ufficiali su commenti e foto pubblicati su facebook. Insomma, ora anche i giornali possono essere, secondo gli strateghi della comunicazione politica paesana, “taggati” su facebook che evidentemente riveste un’importanza primaria per loro. E invece non è così. Non può essere così. Se è vero che i lanci sintetici in rete (cosiddetti “tweet”) sono divenuti una diffusissima consuetudine per politici, giornalisti e personaggi pubblici in genere, sapere che la stessa nota che si vorrebbe pubblicata sugli organi di stampa il giorno dopo è già uscita su facebook è qualcosa di fortemente lesivo della dignità professionale di chi, sui giornali, ci scrive per mestiere. Ecco perchè la sfida, per la nostra categoria, sarà quella di mettere dei paletti. Di indicare chiari limiti oltre i quali il diritto-dovere d’informare non si può piegare al vizio altrui di “condividere” cliccare “mi piace” e “taggare”. Dopo qualche mese di assenza in cui cdisattivai il mio profilo, decisi di tornare su facebook in un periodo della mia vita in cui avevo bisogno di cazzeggiare. E quindi, per me, facebook e twitter sono semplici luoghi di cazzeggio: durante la visione della partite di serie A, durante i viaggi e le occasioni conviviali. Per qualche soggetto politico, invece, il social network sembra aver preso il posto dell’ufficio stampa. Non importa chi siano questi soggetti e non ce l’ho con nessuno. Il punto è che i social network sono una cosa; la stampa, fatta con metodo, passione e duro lavoro, un’altra.


La prova televisiva

marzo 11, 2012

C’è una buona notizia: la prova Tv non serve solo per squalificare Ibrahimovic o Mexes dopo che hanno compiuto atti di violenza contro gli avversari durante una partita di calcio. No, prossimamente la prova Tv verrà utilizzata per smentire e zittire uno dei tanti signor “Leinonsachisonoio” che un mesetto fa mi telefonò sfoderando un’inedita acidità, accusandomi implicitamente di non aver saputo fare il mio mestiere perché, a suo dire, non avrei riportato fedelmente alcune dichiarazioni rese in un’assemblea pubblica, tanto da scrivere cose «gravissime». Ma non solo. Secondo Leinonsachisonoio, infatti, prima di scrivere quello che avevo appena ascoltato, avrei dovuto chiamarlo per sincerarmi della veridicità di quanto asserito in aula dal dichiarante di turno. Già, avrei dovuto chiedere il permesso a Leinonsachisonoio per scrivere una cosa che avevo appena ascoltato. Sia ben chiaro, Leinonsachisonoio non è né uno ‘ndranghetista né un delinquente. Probabilmente, infatti, gli appartenenti a una di queste due categorie avrebbero avuto la compiacenza e l’umiltà di rivolgersi ai propri avvocati prima di contattare un giornalista. Leinonsachisonoio, infatti, è una persona per bene. Solo che difetta di prudenza. Già, perché prima di fare telefonate mattutine vaneggiando di grandissime responsabilità penali e minacciando querele dopo aver preso per oro colato le parole di chi gli avrebbe negato l’evidenza e accusando me di tutto, avrebbe dovuto verificare quello che si era detto e la mia condotta. Soprattutto prima di pretendere censure preventive che da me né lui e né altri avranno mai. Quando mi contestò telefonicamente la presunta rispondenza di quanto da me scritto a quanto ascoltato, risposi che di solito non sbaglio, ma che comunque non sono così presuntuoso da pensare di essere infallibile. Quindi, lo invitai, qualora avesse avuto ragione, a mandarmi una rettifica, precisazione o smentita che avrebbe avuto tutta la visibilità del caso. Mi rispose che lui non avrebbe mandato alcunché ma sarebbe andato subito a fare denuncia e che le mie ragioni le avrei spiegate alla magistratura. Non vedo l’ora. Perché ho appena avuto conferma che anche in questo caso avevo riportato correttamente quanto sentito, tanto che se fossi stato un d.j. con quelle parole ci avrei costruito un bel rap. Solo che da circa un mese sto aspettando le scuse di Leinonsachisonoio. Faccia presto, possibilmente entro la fine del mese. Le scuse non vanno in prescrizione, ma quando passa troppo tempo marciscono.


A te che fosti la più contesa

gennaio 17, 2012

Per chi non lo sapesse io scrivo da qui. Da questo estremo lembo di penisola italica, col Pil tra i più bassi d’Europa e una presenza asfissiante (come in altre parti dello Stivale e del mondo) della delinquenza organizzata; con una riviera detta “Dei Gelsomini” lunga e invitante, che offre ogni mattina lo spettacolo dell’alba dal mare e per almeno tre mesi l’anno tutto il bello dell’estate. Con la principale arteria (la statale 106) troppo stretta e diritta per i tanti e odiosi Suv che (fatti con soldi forse male guadagnati) la percorrono ogni giorno, e tanti fermenti culturali, artistici buoni da esportare nel mondo. Col profumo delle arance d’inverno e dei gelsomini d’estate. Coi prodotti “a chilometro zero” e le grandi catene di distribuzione.
La Locride che ha espresso un solo deputato, peraltro di opposizione, e nessun consigliere regionale nel triennio 2008-2010. La Locride che fa gola, soprattutto a chi vede questo territorio come potenzialmente “vergine”, terra di conquista per politici del capoluogo che sanno che da queste parti si fa fatica a mettersi d’accordo, tutti difendono il loro pezzo di orticello politico e la frammentazione ha fatto più danni che mai. In questo contesto, è facile venire qui e porsi come “uomini della Provvidenza” capaci di prendersi a cuore le sorti di questo territorio.
Nei giorni scorsi è accaduto qualcosa di straordinario, almeno per chi segue da vicino i fatti politici regionali. Sabato, infatti, invitato dai giovani Popolari Liberali della Locride, il consigliere regionale di maggioranza Gianni Nucera è venuto a rilanciare la sua idea di un “decreto Locride” sulla scorta di quel “decreto Reggio” datato 1989 che portò opere pubbliche e (tanti) soldi al capoluogo, fino a migliorarne, almeno, il centro cittadino. Un’idea suggestiva, la sua, guarda caso sostenuta, nel corso dei mesi scorsi da un consigliere comunale del Pd di Siderno e che ha riscosso il plauso anche del sindaco democrat di Bianco. A supportare il vecchio cavallo di battaglia del giovanardiano Nucera è arrivata anche la brochure diffusa durante il convegno, contenente la proposta di legge regionale, il suo impianto fondamentale e un richiamo alle fonti di finanziamento. Insomma, il quadro che veniva fuori era quasi idilliaco: finalmente un consigliere regionale attento e presente nella Locride che fa il pieno di consensi bipartisan e vuole fare qualcosa di concreto per questo territorio. C’è un però. Chi mastica politica sa che nel 2012 in pieno governo Monti (creato per mettere a posto i conti di uno stato messo male dal punto di vista finanziario) pensare a un decreto Locride con fondi governativi è come spiegare che la Befana esiste e Babbo Natale pure. Nucera lo sa. Ecco perché a supportare l’idea di fattibilità del suo progetto, ha portato a Gioiosa Marina, durante il convegno di sabato, l’eurodeputato molisano Aldo Patriciello, ovviamente anch’egli dei Popolari Liberali del Pdl, che ha spiegato che finanziare il decreto Locride si può, purchè passi il vaglio della disciplina degli aiuti di stato per le aree depresse, da parte dell’Unione Europea. Quasi un “basta poco, che ce vò” per l’europarlamentare che ha garantito il suo impegno personale in tal senso e quello dei suoi colleghi del Sud Italia.
Ma siccome il vizio di non farmi i fatti miei non l’ho perso, ho chiesto pubblicamente a Nucera rassicurazioni sulla realizzazione del decreto Locride e sui tempi certi dell’iter “perché non è la prima volta – ho spiegato – che viene un consigliere regionale a proporre strumenti e rimedi straordinari per la Locride e poi di concreto ancora non c’è nulla. Basti pensare alla “mozione Locride” del suo collega di maggioranza Candeloro Imbalzano, presentata in pompa magna davanti a sindaci e parti sociali lo scorso mese di agosto a Siderno e tuttora non discussa in consiglio regionale”. Nucera sogghigna sotto i baffi, e, nella relazione conclusiva, si rivolge a me dicendo “Caro Albanese, non sono così presuntuoso da pensare che coi miei quattro articoli contenuti nella proposta di legge che ho presentato io possa risolvere tutti i problemi della Locride; però mi aspetto che dal territorio, dai sindaci e dai giovani, possano arrivare idee e contributi per dare contenuti alla proposta stessa, così come fatto con i piani integrati di sviluppo locale”. Insomma, la mia sensazione è stata quella di un ridimensionamento dell’idea, anche se, va detto, se dovessero arrivare i soldi dall’Ue sarebbe proprio da fessi non arrivare pronti e con una progettualità tale da sapere come impiegarli.
E Imbalzano? Insieme all’amica e collega Simona Musco abbiamo seguito passo passo il travaglio della sua mozione in consiglio regionale, convinti che non basti presentare i progetti ma serva metterli in pratica. E quindi, da agosto a dicembre, si è ripetuto il mesto rito della telefonata il giorno dopo ogni seduta del consiglio regionale: “Onorevole, allora? Si è discusso della mozione Locride?” e ogni volta ci toccava prendere nota (e riportare sul giornale) del suo rammarico per la mancata discussione e il consueto rosario di giustificazioni. Non è un caso, dunque, se a metà pomeriggio di ieri sia stato lo stesso Imbalzano a chiamarmi per annunciare la discussione della mozione in consiglio regionale e trasmettermi la copia del documento approvato dall’aula, con tanto di “saluti alla sua collega che mi chiamava sempre, a ogni riunione consiliare”. Anche in questo caso, il documento contiene tanti impegni, importanti ma generici, che dovranno tradursi in atti concreti. Anche perché i semplici “segnali di attenzione” cominciano a non bastare più.
Ah, dimenticavo…la discussione della mozione è arrivata meno di quarantott’ore dopo la visita locridea di Gianni Nucera per riproporre il decreto Locride; ed è allo stesso Nucera che Imbalzano (suo collega di maggioranza a palazzo Campanella) ha rivolto una pesante stoccata: “La mia mozione è l’unico strumento concreto e attuabile al giorno d’oggi; il resto è demagogia da convegno e aria fritta”.
E non è finita qui. Come dimenticarsi del “Progetto d’urto per la Locride” ideato dal presidente del comitato dei sindaci del comprensorio Ilario Ammendolia, tra i papabili per una candidatura in Parlamento sotto il simbolo del Pd? Risale allo scorso settembre, poche settimane dopo la visita di Imbalzano e per discuterne si riunirono il sabato mattina, i consigli comunali di tutta la Locride all’hotel President di Siderno. Se ne parlò anche col presidente della Regione Scopelliti, che diede qualche rassicurazione su alcuni punti specifici sulla scorta di incontri con quel Cipe dell’allora governo Berlusconi che in quei giorni viveva il canto del cigno con relativa infornata di viceministri e sottosegretari calabresi e ora non c’è più. Da Monti in poi non se n’è più parlato e ora i sindaci sembrano prediligere la fascia tricolore di lotta a quella di governo, promettono manifestazioni romane e presentano piattaforme che vanno da una sorta di zona franca con vincoli meno stringenti per quanto riguarda il rispetto del patto di stabilità per i Comuni delle aree depresse e rispolverano il diritto al “lavoro minimo garantito” che fa tanto 99Posse.
Io, cittadino locrideo, a chi dovrei credere? A Nucera che mi parla di un decreto Locride in corso d’opera con i contributi propositivi di sindaci, giovani e associazioni e l’eventuale copertura dei fondi dell’Ue, a Imbalzano che sventola il vessillo della mozione Locride appena discussa ma che si dovrà dotare di strumenti (e soprattutto interventi) concreti, o ai sindaci che volevano il “progetto d’urto per la Locride” e ora sono pronti a marciare su Roma? E se tutti remassero nella stessa direzione unendo le forze verso un obiettivo comune senza pennacchi, primogeniture o etichette, non sarebbe meglio? Per la Locride, s’intende…


Che casino!

gennaio 12, 2012

Il voto parlamentare di oggi contro l’arresto di Cosentino è grave. E non perché riguarda uno che è coordinatore regionale del Pdl campano, ma perché a fronte di una magistratura che ha messo in galera un sacco di gente (disponendo la custodia cautelare per 56 persone su 57 indagate) i membri del Parlamento, cioè i politici, cioè la “Casta”, hanno difeso uno di loro a fronte degli altri 56 che invece si arrangeranno. Insomma, il meccanismo democratico così come concepito da Montesquieu e realizzato successivamente nel corso dei secoli si è inceppato. Già, perché lo stesso si fonda sull’equilibrio tra poteri indipendenti: esecutivo, legislativo e giurisdizionale. In questo caso, quello legislativo, ha posto un veto a quello giurisdizionale, tutelando uno dei “suoi”. Ma c’è anche il caso in cui il potere giurisidizionale, supportato dalle sue articolazioni che non sto qui a elencare, spara nel mucchio, criminalizzando tout court la classe politica in quanto tale, decidendo chi, come e quando può e deve fare carriera, legittimato, s’intende, dal voto popolare. E così, ex PM diventano leader di partito, parlamentari, sindaci. Siamo sicuri che tutto questo accada in un Paese normale? Mentre chi ricopre cariche elettive, e in un momento della sua attività ha assunto decisioni rischiose, riceve avvisi di garanzia, ordinanze di custodia cautelare e, nella migliore delle ipotesi, sputtanamenti puri e semplici. E’ giusto questo? No, sicuramente no. Perché da quasi vent’anni il rapporto tra politica e magistratura si è inceppato. Faccio parte di una generazione che ha vissuto l’epoca di Mani Pulite appena maggiorenne. Allora tutti facevamo il tifo per Di Pietro. Non solo noi poveri cittadini che avevamo sete di giustizia. Anche grandi giornali, conduttori televisivi e intellettuali. Oggi, a distanza di vent’anni che risultati abbiamo avuto dopo quell’ondata? Pochi, quasi nessuno, perché la corruzione c’è ancora tutta. Un’ondata che forse ha generato un’anomalia politica che ha scompaginato gli assetti tradizionali dell’ideologia politica nel suo rapporto con la giustizia. Prima di Berlusconi, infatti, la sinistra era garantista e la destra giustizialista. Perché la prima contribuì in maniera determinante alla fase costituente e sa che le garanzie costituzionali per l’imputato sono un patrimonio, non una comoda scappatoia. La destra, invece, figlia di quell’esperienza dittatoriale durata un Ventennio, era giustizialista, agitava forche e cappi in tutte le sue facce e articolazioni. Poi venne Berlusconi, uno dei pochi risultati, beceri ma tangibili, del ciclone di Mani Pulite. Indagato fino al collo, riuscì nella incredibile impresa di far diventare la destra (populista, pseudoliberale e piduista) “garantista”, mentre la sinistra, stretta nell’abbraccio mortale con Di Pietro, era diventata “il partito dei giudici”. Oggi non si capisce più niente. E chi ci rimette? Non tanto i magistrati, che non pagano le loro responsabilità civili coi risarcimenti per gli errori commessi, ma la Giustizia nel suo complesso. Come uscirne? Non spetta a me dirlo. Sicuramente riacquisendo credibilità nell’agire quotidiano, ma comincio a pensare che non riuscirò a vedere, da vivo, un Paese normale, nel quale il parlamento legifera, la giurisdizione amministra in maniera equa la giustizia e il governo detta una linea improntata al bene comune della Nazione. Al momento, infatti, c’è ancora un sacco di lavoro da fare 😦